Dall’articolo su SOFA’ (trimestrale sui sensi dell’Arte) dicembre 2009
Sculture in luce
Alessandro Lupi e i suoi giochi fra ombre e spazi
di Federica Chezzi
Nato a Genova il 26 dicembre 1975, Alessandro Lupi si è diplomato all’Accademia di Belle Arti. Dopo un Erasmus a Granada si indirizza verso la sperimentazione tecnica, soprattutto sugli effetti della luce. Giunto a Berlino la prima volta nel 2001, per esporre alla Kunsthaus Tacheles, vi si trasferisce nel 2008. La sua galleria è la Guidi&Schoen, di Genova. Dal 1997 ha esposto in numerose mostre in molte città italiane, in Francia, in Germania, in Slovenia, in Finlandia, in Serbia, in Russia, a Cuba, e in Spagna.
Ha impartito diversi seminari laboratori sulla “la Luce nell’Arte contemporanea” in Italia e anche nella prestigiosa Escuela Nacional de Bellas Artes de la Habana a Cuba, Ha anche collaborato con alcuni docenti universitari a progetti culturali sul rapporto matematica ed arte.
Ottobre 2009. FREeSHOUT?! Festival. Autostrada A11, uscita Prato est, Ex-Macelli. Nella penombra di un antro i visitatori sostano di fronte a due installazioni; fotografano, guardano stupiti il display della macchina, mormorano. In una tenue luce azzurrina, un grande albero secco e spoglio proietta un’ombra ricca di foglie. La gente fotografa l’ombra, convinta di catturare, e svelare, il suggestivo effetto. Ma, scattato il flash, sulla foto non appare nessuna ombra. Poco più avanti c’è un baule di legno, appoggiato in verticale. Dal coperchio socchiuso si intravede la sagoma luminosa e tridimensionale di una bimba, nascosta nell’oscurità della cassa. Doppia meraviglia. È lo spazio dedicato alle opere di Alessandro Lupi, giovane ‘scultore’ di luce.
Come nasce il tuo interesse per questo tipo di ricerca estetica e poetica?
Quando studiavo all’Accademia mi resi conto che dipingere non mi piaceva granché; il disegno, semmai, quello sì. Fin da piccolo, poi, smontavo e rimontavo oggetti, e avevo un’idea fissa: inventare una pila che facesse buio. Dal Libro d’artista di Giacometti, che parlava di “regressione all’infanzia”, è arrivata l’intuizione: potevo continuare a ‘giocare’, con l’arte stavolta, coltivando la mia passione per la sperimentazione tecnica. Ho provato a immaginarmi una luce che ‘facesse buio’; che mi facesse vedere le cose da un’angolazione ‘capovolta’. Così ho iniziato a lavorare con la luce di Wood, (chiamata anche luce nera). E alla ricerca tecnica si è saldato il mio percorso poetico: indagare e invertire le contrapposizioni dei concetti buio/luce, interno/esterno, materia/spazio.
Hai iniziato il tuo percorso con delle ‘presenze luminescenti’ cinetiche.
Sì, nel 1997-98. I primi lavori ruotavano, accompagnati da suoni e rumori; erano più performativi. Un esempio. Una donna incinta con il bimbo in posizione fetale, dentro il pancione. La donna è rossa, il bimbo bianco. Si sentono i loro battiti cardiaci, intrecciati. Poi la donna scompare e resta solo il feto, sospeso, immerso nel suono di entrambi i battiti del cuore. Per alcuni la sensazione era gioiosa, per altri terrorifica! E questo è un altro dei miei caposaldi: rendere compresenti, per la stessa opera, due possibili e opposte reazioni emotive.
Adesso, invece, hai inserito la presenza luminosa in un contesto reale. Dentro un baule, sdraiata su di un letto, appoggiata ad una sedia.
Dal 2004, in effetti, ho tralasciato l’aspetto più teatrale, rendendo le mie opere più simili a delle sculture, anche per rendere la visione del pubblico più attiva; può girarci attorno, avvicinarsi, guardare, cercare di capire. Mi piace osservare le persone che si interrogano sulla tecnica; per niente semplice, tra l’altro! Sapessi quanto tempo impiego in esperimenti; i dettagli e gli imprevisti sono infiniti, lavorando con materiali nuovi!
Come realizzi queste sculture di luce?
Vernici fluorescenti, che riflettono la luce di Wood, e colori fosforescenti, che si ‘caricano’, così che quando spegni il Wood, continuano a emanare luce (come il rosario della nonna, per intenderci!). Disegno prima (il soggetto da diversi punti di vista), poi faccio la pianta, la struttura, fatta di fili neri Solo allora inizio a dipingere i fili con le vernici. Una tecnica scultorea, tutto sommato.
Nell’installazione interattiva Ombre (2003, Teatro Stabile di Genova), invece, l’invenzione era ancora diversa…
Ho costruito un paravento con l’opalina, dietro al quale ho nascosto un videoproiettore che riproduceva ombre di ipotetici passanti. Il paravento era all’interno del foyer di un teatro. Tra passaggi di ombre ‘credibili’, si mescolavano sagome di persone in bicicletta, sullo skate, a testa in giù… spiazzanti, insomma! Nel momento in cui i visitatori si affacciavano dietro per verificare queste strane presenze, un sensore ne percepiva l’arrivo e il proiettore emanava una semplice luce bianca, proiettando così le loro stesse ombre.
Il pubblico si è stupito e soffermato a riflettere, ha interagito, insomma. L’opera è riuscita, dunque! Come quella esposta per la Luminale di Francoforte. “vetro”
Era un bambino luminescente blu intenso, appoggiato al finestrone della galleria, che alitava sul vetro; sai, come in un gioco… Impressionava, sì, soprattutto di notte! L’effetto dell’alito? Sapone di Marsiglia ad aerografo…
Nelle tue opere la scelta ‘significante’ ricade spesso anche sull’oggetto reale…
Il Baule, esposto a Madrid, era un bagaglio utilizzato da migranti italiani, dentro c’era una donna rannicchiata. Era utile, quindi, a richiamare tutto il carico di sofferenza e pericoli di chi è costretto a emigrare. In altre opere ho utilizzato il cemento (ad es. Cuba, Biennale de La Habana, 2009), un materiale indubbiamente pesante, al quale ho voluto attribuire l’ambivalente significato di schiacciamento della materia o liberazione dalla stessa… Negli ultimi lavori, ancora in prototipo, voglio invece costruire non più soltanto la figura ma anche gli spazi geometrici sui quali questa si muove; sempre con la luce, ovvio!
Il 23 Aprile Lubiana sarà proclamata Capitale mondiale del libro per l’Unesco. In quella occasione sarà possibile vedere una spettacolare scultura di Lupi: all’artista è stata comminssionata una densità fluorescente cinetica raffigurante Primoz Trubar Letterato e riformatore protestante, che nel 1550 scrisse il primo testo in lingua slovena. La scultura resterà stabilmente all’interno della “trubar’s house of literature”, futuro centro della letteratura slovena.